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Accade sempre più spesso che nel corso di una verifica fiscale presso un contribuente da parte della Guardia di Finanza vengano rinvenuti dei brogliacci o meglio ancora dei files informatici in cui compaiono dati e/o annotazioni su transazioni commerciali che possono indurre a ritenere che vi sia una contabilità parallela extracontabile cioè in “nero”. Il ritrovamento di tali documenti è destinato ad assumere un determinato valore in quanto vengono assunti a fondamento di un’ulteriore attività di accertamento da parte degli uffici finanziari il cui risultato produce l’atto dell’avviso di  accertamento destinato a produrre effetti giuridici per colui che lo riceve.

La giurisprudenza chiamata più volte in causa ha assunto nelle varie sentenze a seconda dei casi una piena, media o scarsa valenza probatoria. L’orientamento che si sta delineando nelle ultime sentenze è quello di legittimare l’Amministrazione a disattendere le scritture contabili e ad accertare con l’induttivo il contribuente coinvolto anche nel caso in cui la scoperta della documentazione e/o files informatici extracontabili  sia avvenuta presso un soggetto terzo. La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in un caso analogo (sentenza 17420/2016) accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente e ha cassato con rinvio la sentenza, affermando che ai fini accertativi le presunzioni semplici costituiscono una prova completa a cui il giudice può tenerne conto nella formazione del suo convincimento; la scoperta di una contabilità parallela in nero è una prova di natura presuntiva idonea a ritenere la mancata registrazione di alcune operazioni contabili ed inoltre i documenti reperiti presso un soggetto terzo diverso dal contribuente non possono essere disattesi dal giudice ai fini probatori senza averne vagliato il contenuto intrinseco e la loro comparazione con la contabilità. Infine i files informatici sono sempre utilizzabili nei confronti del contribuente ancorché rinvenuti presso un soggetto terzo.