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La possibilità di non essere chiamati “Falliti” nel caso in cui nel passato si abbia subito un fallimento, non è veritiera pertanto precisiamo alcune cose.
Dall’inizio del nuovo millennio ci sono stati moltissimi casi di suicidio o tentato suicidio, l’ultimo dato raccolto dall’Istat (fermo al 2010 e non sappiamo per quale motivo) parla di 187 suicidi e ben 245 tentativi di suicidio per natura economica.

 
Chi arriva a questo gesto estremo non sono imprenditori, ma anche chi ha subito la perdita di lavoro, uno sfratto, la misera pensione oppure perché si trova in balia dei creditori.
Per questo motivo fa discutere l’azione effettuata da un giudice del tribunale di Vicenza che ha sospeso il procedimento per consentire al Tribunale civile di chiedere alla Corte Costituzionale di dichiarare l’illegittimità della norma che definisce “fallito” l’imprenditore risultato insolvente.
Logicamente si deve analizzare ogni singolo caso, ma l’imprenditore onesto che viene mal consigliato dal proprio commercialista, che viene sedotto dalla banca ad acquistare titoli e perde tutto il suo capitale, l’imprenditore che non riesce a recuperare i suoi crediti, risulta obiettivamente ingiusto chiamarlo fallito.
Questi sono gli aspetti “lavorativi”, ma non abbiamo tralasciato gli aspetti psicologici di queste persone che sono devastate fisicamente e mentalmente per colpe non riconducibili alle loro azioni.
Ci sono infatti moltissimi casi di imprenditori che cercano rifugio nell’alcol, nelle droghe, nel gioco d’azzardo (la cosiddetta “dipendenza patologica”) o che cercano gesti ancora più estremi come tentativi di rapina e sequestri di persona.
Speriamo quindi di veder modificata al più presto questa orribile norma.

15-09-2016
LA REDAZIONE DI AVED
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